La storia di Capoliveri
Piccolo borgo minerario dell'Isola d'Elba
La storia di Capoliveri
Il territorio comunale di Capoliveri si estende per 39,51 chilometri quadrati e conta poco meno di 3.000 abitanti (2808 al 1 gennaio 1996), in grande percentuale concentrati nel centro abitato, che, solo in questi ultimi decenni, ha visto nascere nuovi quartieri, fuori dall'antica cinta muraria. Tutto raccolto sulla sommità di una dorsale isolata, il paese nacque come fortezza d'altura in epoca etrusco-romana, in posizione strategica dalla quale era possibile controllare i due mari di meridione e di ponente e, in alcuni punti più elevati, arrivare a vedere il mare di settentrione e la stessa Portoferraio, l'antica Fabricia romana.
E' uno dei luoghi storicamente più interessanti dell'isola e ha conosciuto l'accertata presenza etrusca, dovuta alla grande importanza economica delle miniere del ferro e del relativo commercio che i Rasenna - così gli Etruschi chiamarono loro stessi - abilmente gestirono ben oltre i confini della loro confederazione. Oltre ad un gran numero di reperti di quest'epoca come fibule, monete, vasetti ed urne, una delle più rappresentative statuette votive di quell'epoca, un Offerente, che si trova attualmente presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fu rinvenuto nella necropoli del Profico, non molto distante dal centro storico.
Capoliveri, nata come terra murata (luogo elevato cinto da mura) sulla sommità di un colle alto 167 metri, col vago profilo di una nave che punta la prora verso il mare, era conosciuta, in epoca latina, anche col nome di Capitis llvae, Caput Liberum e Caput Liseri o Liveri. Queste antiche denominazioni derivarono dal culto di Dioniso-Bacco: fonti leggendarie tramandarono che questi luoghi fossero consacrati a tale divinità, più precisamente a Libaro, altro nome del dio, in riferimento alla produzione del vino e a protezione degli abili contadini di questa terra.
In epoca latina l'Elba, già famosa come 'Insula inexhaustis Calibum metallis' lo fu altrettanto per la produzione di vini pregiati, tanto da far scrivere a Plinio che l'Elba era 'Insula vini ferax'. Dopo la caduta dell'Impero Romano, vennero i secoli delle invasioni barbariche e, come le altre isole dell'Arcipelago, l'Elba venne utilizzata come luogo di rifugio e protezione dalle popolazioni dell'entroterra e della costa toscana e, sempre nel medesimo periodo fu prescelta dalle prime comunità monastiche cristiane, perché adatta al raccoglimento, alla solitudine e alla preghiera. Nel XII e XIII secolo, numerose fonti documentarie pisane e alcuni trattati commerciali della rivale Repubblica Genovese, attestarono che all'isola d'Elba, l'unico castrum, fortezza o città fortificata, fosse Capoliveri.
Nel periodo della dominazione pisana sull'Elba, dovuta alla grande importanza economica e produttiva della vena di ferro, Capoliveri fu sede di Capitama, ovvero residenza della più alta carica amministrativa, politica e militare dell'isola. Solamente in tempi successivi vennero documentate altre località fortificate di una certa importanza, come Latrano, Campo e Marciana, mentre solo molto più tardi una seconda Capitana venne attribuita a Grassula e Rio. Il Consiglio degli Anziani di Pisa stabilì che dei sette Consules (eletti fra gli uomini anziani ed esperti) che le Comunità elbane dovevano inviare presso la Repubblica di Pisa, come rappresentanti dei loro interessi politici e amministrativi, solamente Capoliveri avesse il diritto di inviarne due. Il Burgum di Capoliveri, soggetto al governo diretto della Repubblica marinara, fu il cuore e il centro del sistema di controllo militare, amministrativo e fiscale dell'isola per quattro secoli: un cos forte interesse infatti era dovuto alla particolare importanza strategica dell'Elba, ponte naturale fra la costa toscana e le 'sorelle maggiori' di Corsica e Sardegna, ricca non solo di ferro ma anche di granito, col quale vennero costruiti molti edifici religiosi della città sull'Arno. Agli inizi del XV secolo, con Pisa ormai decaduta e venduta ai Visconti di Milano, l'Elba pass sotto il dominio di Gherardo Appiani, signore di Piombino.
Questo principato nacque sotto l'influenza diretta della Corona di Spagna, mentre il casato dei Medici di Firenze fu molto interessato alle zone minerarie che provvide ad appaltare per lunghi decenni, a suon di fiorini d'oro, a vantaggio quindi delle proprie Magone (termine di origine araba che significa officina metallurgica), antesignane delle future fabbriche siderurgiche. Essa fu quindi al centro degli interessi del granducato mediceo, contrapposto agli ispano-napoletani interessati al versante orientale. Cos l'isola fu tripartita, con Cosmopoli-Portoferraio, sotto l'influenza di Firenze, Longone e successivamente Capoliveri sotto quella della Spagna e del Vicereame di Napoli e il resto dell'Elba sotto il dominio di Piombino. Fu in quest'epoca che Capoliveri conobbe la sciagurata venuta dei pirati turco-barbareschi che, nella prima metà del XVI secolo, la saccheggiarono e devastarono completamente, abbattendone le antiche mura fin dalle fondamenta. Vennero poi altri dominatori e l'Elba divenne teatro di battaglie combattute da eserciti stranieri: memorabili le due grandi spedizioni che nella metà del XVII secolo videro i migliori uomini d'arme di Francia e di Spagna contendersi il caposaldo spagnolo di Longone, dedicato a San Giacomo.
Capoliveri fu lasciata fuori da quelle epiche battaglie e fu coinvolta solo indirettamente da quella guerra che si svolse nella piana di Mola e nei dintorni dell'attuale Porto Azzurro, a poche centinaia di metri dall'antico borgo. Coinvolta successivamente nella lotta di eserciti stranieri, essa sub una nuova totale distruzione delle fortificazioni ricostruite, quando, agli inizi del XVIII secolo, fu teatro di battaglia fra gli imperiali e gli spagnoli. A fine secolo arrivò anche sull'isola la ventata rivoluzionaria del tricolore di Francia e, a causa dell'atteggiamento spiccatamente antirepubblicano e lealista, Capoliveri dovette subire una durissima repressione da parte delle truppe della rivoluzione. Sotto il nuovo dominio l'Elba si riscattò da tre secoli di spartizioni e l'isola divenne 'francese'. Fu un periodo politico-amministrativo che portò luci ed ombre: se va riconosciuto il grande merito della riunificazione dell'isola, della ricostruzione delle strade, dei porti, dell'arredo urbano degli antichi centri, del rilancio dell'economia agraria e dell'escavazione del minerale ferroso in grandi quantità, va altresì ricordato che l'Elba fin col pagare duramente la politica napoleonica. Con la leva obbligatoria l'intera popolazione maschile dovette entrare a far parte della Grande Arme abbandonando i campi e le terrazze (ancora ben visibili in tutta l'isola, esse costituirono un metodo di coltivazione utilizzato per una maggiore produttività vitivinicola) dove la produzione di vini rinomati aveva cominciato a dare buoni frutti dopo i lunghi secoli delle guerre di invasione. In seguito alla caduta militare e politica subita ad opera delle potenze alleate, Napoleone Bonaparte scelse l'Elba come rifugio e, in qualità di nuovo sovrano, provvide ad acquistare alcune case e proprietà nei centri più importanti dell'Elba.
Non risultano invero documenti di un suo particolare interessamento per questo paese, mentre, secondo una diffusa memoria popolare, egli fu attratto da una giovane capoliverese dal nome di Vantina, famosa per la propria avvenenza. Ancora fino a non molti anni or sono, i vecchi paesani amavano raccontare con orgoglio questo "avvenimento", dai contorni della fiaba: pare che Napoleone, intenzionato a radere al suolo la roccaforte di Capoliveri, perché indispettito dal fatto che quei 'Terrazzani' non gli avevano reso adeguato omaggio, fosse indotto a recedere dai suoi bellicosi propositi dall'avvenenza di questa giovane fanciulla, dal nome di Amelia Vantini.
Ancor più ricordato, anche dalla stessa pubblicistica contemporanea, l'aneddoto di Lacona: "Napoleone il Grande, quivi passando nel 1814, tolto nel campo adiacente l'aratro di un contadino, provossi egli stesso ad arare: ma i bovi ribelli a quelle mani, che pur seppero infrenare l'Europa, precipitosamente fuggivano nel solco".
Partito Napoleone, l'Elba venne affidata all'efficiente amministrazione dei granduchi di Lorena. Durante questo periodo l'isola rinacque economicamente col rilancio della produzione agraria, mineraria e di nuovi settori produttivi a carattere artigianale. Ci coincise con un fatto storico e demografico di grande rilievo, quando dagli antichi borghi un numero sempre crescente di abitanti cominciarono a scendere verso il mare; cos, da poche casupole sparse e magazzini di pesca sulla spiaggia, Porto Longone, la Marina di Marciana, la Marina di Campo e la Marina di Rio divennero, in un tempo relativamente breve, dei piccoli centri attivi, progressivamente sempre più popolosi e animati da piccoli traffici economici, commerciali e marittimi diffusi. Invero, Capoliveri non fu molto coinvolta in questo movimento migratorio interno, dalla collina al mare, dovuto alla definitiva sconfitta della pirateria barbaresca, alla relativa cessazione della guerra da corsa, e al conseguente aumento dei traffici per mare. Essa seppe ritrovare, accanto al proprio antico orgoglio, una autonoma rinascita economica: i campi ripresero a essere lavorati, la produzione del vino toccò quantitativi assai elevati e di buona qualità: Lacona, con Mola e le colline atterrazzate intorno al capoluogo, divennero nuovamente rinomate per la produzione di Aleatico, di Moscato, Sangioveto e di un vino bianco, secco e robusto.
La vendita di frutta, legumi e ortaggi, come primizie nei mercati delle città costiere della Toscana e del Lazio portò nuova linfa economica; riprese anche la produzione del minerale ferroso, con le prime tecnologie applicate alla coltivazione delle grandi caviere di punta Calamita e di cala del Ginepro. Nel 1819, la tenuta di Monte Calamita fu ceduta dal Comune di Portolongone all'industriale di origine francese Morel, il quale poi la cedette, nel 1854, alla marchesa di Boissy.
In quegli anni, un buon numero di 'omini della vena' lavorarono nello sfruttamento delle cave a 'cielo aperto' e parteciparono attivamente alla costruzione di un nuovo e più lungo pontile per l'attracco di bastimenti di maggiore stazza. Nel trentennio 1851 - 1881 la 'Regia Cointeressata' rilanci grandemente la produzione del minerale apportando miglioramenti tecnici; soprattutto venne ultimato il nuovo pontile a mare alla Calamita. La produzione mineraria ebbe un notevolissimo incremento, almeno fino alla seconda metà dell'Ottocento, quando il minerale estratto veniva venduto per i quattro quinti a nazioni straniere, fra le quali, la Francia, I'lnghilterra e, in minor quota, gli Stati Uniti d'America. Famoso in quegli anni fu il progetto di collegare con un sistema ferroviario unificato tutte le miniere del versante orientale dell'Elba, da Rio Albano alla Calamita, facilitando la nascita di un grande centro siderurgico a Portolongone o, in seconda ipotesi, a Portoferraio.
Si dovette attendere fino al Capitolato d'appalto del 1897, vinto da Giuseppe Tonietti, per una gestione di lungo periodo e soprattutto per avviare quel processo d'integrazione produttiva che, collegando le miniere con lo stabilimento di Portoferraio, dette vita alla nascita dell' 'Elba, Società Anonima di Miniere e Altiforni'.
Coinvolta nelle lotte risorgimentali Capoliveri, come tutta l'Elba, aveva dato un notevole contributo all'Unificazione italiana e aveva ospitato un personaggio non secondario del nostro Risorgimento, il dottor Vincenzo Silvio, che qui aveva svolto per lunghi anni la professione di medico condotto; continuamente segnalato dal 'Consultore Governativo', come elemento da tenere sotto controllo perché ritenuto repubblicano. Nella seconda metà dell'Ottocento, i cavatori del ferro del versante capoliverese dettero vita alle prime rivendicazioni a carattere economico e alle relative lotte salariali che furono segnalate, dallo stesso Ministero dell'industria, come uno dei più importanti contributi alla nascita di una coscienza sindacale fra i lavoratori. Capoliveri cos fu uno dei primi centri dell'Elba a diversificarsi per una identità politica nuova, diffusa e avanzata verso idee repubblicane, socialiste e anarchiche.
Nel dicembre 1886 accaddero dei disordini, mai del tutto chiariti, che portarono all'uccisione di due persone da parte delle forze dell'ordine. Il giovane neolaureato elbano Pietro Gori, uno dei fondatori del partito dei lavoratori e famoso anarchico, pronunci le prime forti e solidali parole di protesta per quelle vittime. Questi anni della fine dell'Ottocento furono duri: l'infezione fillosserica della vite colpì duramente queste terre e Capoliveri conobbe una vasta emigrazione verso l'America meridionale. Nel 1907, divenne Comune autonomo e fu diviso da Portolongone, costituendo l'unico caso in cui l'autonomismo municipale salì in collina, anziché scendere verso il mare, come era successo per gli altri comuni elbani. Capoliveri dette il suo contributo di uomini nel primo conflitto mondiale, partecipò attivamente alle lotte operaie che contrapposero gli interessi dei lavoratori delle caviere a quelli della società Elba, di Miniere e Altiforni. Riuscì a superare quasi indenne la seconda guerra mondiale, al contrario di altre zone dell'isola come Campo e Portoferraio.
Nel dopoguerra, anche a causa della chiusura dello stabilimento di Portoferraio, molti Capoliveresi preferirono emigrare verso l'Australia, come i loro avi mezzo secolo prima, con la stessa speranza di un lavoro e di una vita migliore. In questi ultimi trent'anni l'economia dell'isola d'Elba stata rivoluzionata dal turismo, che lentamente ma inesorabilmente ha sostituito ogni altra forma di produzione economica; tra l'altro, negli anni Settanta, sia nel Riese che nel Capoliverese, sono state definitivamente chiuse le cave del ferro, concludendo una storia millenaria che aveva reso l'isola famosa in tutto il bacino mediterraneo e oltre. Attualmente Capoliveri il secondo comune della Toscana per numero di presenze turistiche (circa 800.000 all'anno) ed il nucleo principale dello sviluppo turistico all'isola d'Elba, dovuto anche a un litorale unico nella sua bellezza e varietà.
Gli abitanti di Capoliveri, oltre che buoni agricoltori, furono sempre e soprattutto 'omini della vena', cioè cavatori dediti all'estrazione dei minerali di ferro nelle miniere di Calamita e del Ginepro, situate nella estrema punta sudorientale dell'isola. Essi sono ancor oggi contraddistinti da un caratteristico temperamento fiero e forte, abituati a una vita aspra e faticosa; ci visibile anche nello stile sobrio delle case e dei vicoli: viuzze strette, fra case austere senza troppi ornamenti. Unico tocco di allegria sono i fiori fuori dai balconi e i panni colorati alle finestre. Nati su un promontorio coperto di macchie, di agavi e fichi d'lndia, accanto al Monte Calamita, grave di ferro e di magnetismo, e con un mare di un azzurro intenso che cambia colore a seconda delle stagioni, i Capoliveresi recano nel loro temperamento il segno di una natura forte e selvaggia; essi portano nei loro volti i segni di una storia antica, dura, di guerre e lotte, pervasi sempre da un senso di libertà e di spazio, come diceva Felice Cavallotti, citato in tutta la pubblicistica elbana fra Ottocento e Novecento: "non nascono servi in riva al mare"